la piccola GiuliaPrima che l’arrampicata diventasse il gioco, Costa era già un gioco. Avevo sette o otto anni allora, e Costa come falesia stava prendendo forma.

Le domeniche e i sabati e quando si capitava lì erano già giorni felici, liberi dalla scuola, pieni di aria.

Mi sembrava un viaggio lungo, da Cittadella a lì, mi sembrava già quasi-montagna. Ricordo la terra, nera, che mi scuriva le mani, nei miei giochi di preparare intrugli e pozioni.

Ricordo Carlo, cugino-fratello più grande di me di qualche anno, diventava il mentore dal quale imparare delle cose da grandi, oltretutto delle cose da maschi, come costruirsi arco e frecce con i rami dei noccioli.

Ricordo Glauco e le sue corse pazze. All’Olimpo dal bosco a sinistra piombava giù con le gambe al massimo, attraversava l’ampio spiazzo dove si faceva base e proseguiva scendendo la discesetta che porta ora ad Ayla e a Robertina. Si arrampicava sugli alberi. Era in perenne moto, e se era con Tommaso il moto raddoppiava ampiamente e io rimanevo ammirata e un po’allibita.

Ricordo la colorata, forse ancora in lycra, combriccola che scalava, la sensazione di allegria, di benessere che mi arrivava, la sensazione di vederli fare qualcosa di normale, di assolutamente comune, che però li rendeva gioiosi.

Ricordo due grossi massi, due “menhir”, con uno spit in cima, vi veniva passata una corda, e noi potevamo “giocare” ad arrampicare. (Come se poi vi fosse un altro modo di farlo!). Oppure giocavamo ad arrampicare nei primi metri delle vie più facili, e io stavo dentro ad un enorme imbrago verde e giallo fluorescenti e avevo delle ballerine rosa e viola di cui ho perfettamente ancora in mente la consistenza. Ricordo il divertimento nel salire e la paura nel lasciarmi andare indietro per scendere.

Ricordo l’odore della roccia sulla pelle, nettamente, perché è lo stesso che ritrovo ora, che amo ora.

Costa è un luogo del cuore.

E’ mio papà che mi chiede: ”Pensa a un nome per una via” e io nell’impegno totale dei nove anni ci penso giorni e giorni e infine trovo “Le quattro cascate bianche”, nato non so più dove, probabilmente in un’ansa di fantasia dedicata ai pellerossa.

È un’uscita con gli amici, anni dopo, e la prima volta di Luisa a scalare.

È qualche tiro la sera, dopo il lavoro, d’estate, nei mesi passati al Merlo con Marco. È Long Jump. Primo 6c desiderato e liberato senza nemmeno crederci per la gioia, strappando totalmente la cucitura dei pantaloni.

È il rumore del Brenta lontano, che, nella mia mente, sa sovrastare pure quello della statale.

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